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Pubblicato il 22 maggio 2019

SENZA SPECIFICAZIONE DEL REGIME DI INTERESSI PER IL CALCOLO DELLA RATA, LA CLAUSOLA INTERESSI E’ INDETERMINATA

Tribunale di Cremona: sentenza n.227/2019 pubblicata il 28/03/2019

Un’altra sentenza che riconosce la sussistenza di anatocismo nel piano di ammortamento alla francese, emessa questa volta dal Tribunale di Cremona (GOP Avv. Nunzia Corini).

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Dopo le sentenze dei Tribunali di Napoli (sent. n. 1558/2018 del 13 febbraio 2018), Ferrara (sent. del 20 aprile 2018), Lucca (sent. n. 763 del 10 maggio 2018) e Massa Carrara (sent. n.797 del 13 novembre 2018) un’altra sentenza riconosce la presenza di anatocismo nel piano di ammortamento alla francese quando il valore della rata è calcolato utilizzando il regime di interesse composto (si faccia un click qui per approfondire la questione dal punto di vista tecnico-matematico)

La vicenda inerisce un contratto di mutuo dell’importo di €93.000 da restituire in 240 rate mensili (venti anni) e nasce dalla richiesta rivolta al Tribunale da parte dei mutuatari di accertare in via principale l’usurarietà degli interessi (corrispettivi e di mora) convenuti ed in via subordinata la difforme indicazione dell’ISC rispetto al TAEG effettivamente applicato nonché l’indeterminatezza delle condizioni contrattuali e del tasso contrattualmente pattuito, per effetto proprio dell’adozione del regime degli interessi composto per il calcolo della rata. Il tutto con conseguente richiesta, all’esito della CTU, di rideterminare gli interessi rielaborando il piano di ammortamento a tasso legale e con quote capitali costanti.

Dai rilievi tecnici è emersa la non usurarietà del rapporto, mentre per quanto attiene alla domanda di declaratoria di nullità della clausola di determinazione dell’interessi, il Giudice così si esprime: il quesito chiedeva al C.T.U. di verificare “se il piano di ammortamento alla francese utilizzi per il calcolo della rata la formula della capitalizzazione composta e se ciò determini anatocismo o comunque in concreto un tasso effettivo superiore a quello indicato in contratto”.

Il C.T.U., pur ammettendo che il “regime finanziario in cui viene impostata questa operazione è, correttamente, quello dell’interesse composto, che prevede l’attualizzazione dei flussi finanziari sulla base di una funzione matematica esponenziale”, ha ritenuto che “il metodo di ammortamento a rate costanti “alla francese” non dia luogo ad anatocismo e questo perché non vi è nulla nella sua struttura matematica e finanziaria che porti alla generazione di interessi composti”. Ciò in quanto “Il calcolo degli interessi, qualsiasi sia la durata complessiva del piano e la cadenza periodica dei pagamenti, è sempre e comunque effettuato sul debito residuo, ovvero sul capitale che rimane da restituire al finanziatore”. Sul punto, occorre rilevare innanzi tutto che il C.T.U. non ha risposto ad una parte del quesito, avendo omesso di chiarire se la formula per il calcolo della rata col metodo alla francese determini in concreto un tasso effettivo superiore a quello indicato in contratto. Per quanto dunque la risposta del C.T.U. sia monca, è giocoforza dedurre dalle motivazioni espresse su questa parte del quesito che il tasso concretamente applicato è diverso e più elevato del tasso nominale pattuito in contratto  posto che il C.T.U. stesso afferma che la rata costante viene determinata col regime finanziario “dell’interesse composto, che prevede l’attualizzazione dei flussi finanziari sulla base di una funzione matematica esponenziale”; difatti, per citare autorevole dottrina:

“Nel regime semplice il tasso di interesse si rapporta al tempo (k) in forma moltiplicativa, (1+k*i); nel regime composto il tasso di interesse si rapporta al tempo in forma esponenziale, (1+i) k .”

A prescindere dalla questione dell’anatocismo nel piano di ammortamento alla francese, sulla quale la dottrina matematica in questi ultimi tempi sta dibattendo con contributi tecnici degni di considerazione (mentre la giurisprudenza dominante sembra ormai attestata sulla stessa opinione del C.T.U.) e sebbene il concetto di interesse composto noto alla matematica finanziaria non sia necessariamente equivalente a quello di anatocismo coniato in ambito giuridico, resta il fatto che il regime finanziario utilizzato per il calcolo della rata costante, non è stato esplicitato nel mutuo oggetto di causa.

E siccome l’ammortamento alla francese non è l’unico che consente di pervenire ad una rata costante, la questione è rilevante ai fini della determinatezza della clausola inerente il calcolo degli interessi, poiché – a seconda del regime finanziario adottato – diverso è il monte interessi che ne deriva.

Non può fondatamente mettersi in discussione che la formula di calcolo della rata con il metodo francese, comporta la produzione di maggiori interessi derivanti dalla capitalizzazione. Come in dottrina è stato dimostrato, ciò dipende dal fatto che il capitale via via rimborsato è produttivo di un interesse che incorpora anche interessi non ancora esigibili perché non giunti a scadenza (si tratta di interessi che sono in corso di maturazione). Infatti, l’importo della prima quota di interesse, indica come dopo un solo periodo l’istituto riscuota gli interessi anche relativi alle quote di capitale non scadute (in pratica è come se la banca ad ogni scadenza rinegoziasse il mutuo).

La parte mutuataria ha pertanto formato la propria volontà sul T.A.N. indicato in contratto. Ma non è mai stato oggetto di accordo che le rate fossero da determinare secondo un metodo il cui risultato è quello di aumentare l’importo degli interessi e quindi di far emergere un tasso annuo effettivo superiore a quello risultante dalle clausole contrattuali, né che l’interesse dovesse essere calcolato sul debito residuo, condizione essenziale dell’ammortamento con il sistema alla francese.

A nulla rileva, in contrario, che in contratto sia stato enunciato l’I.S.C., né che la parte mutuataria abbia sottoscritto lo sviluppo del piano di mutuo (all. “B” al contratto del 2005), poiché ciò è avvenuto in difetto di pattuizioni circa l’impatto sugli interessi dell’utilizzo di una formula per il calcolo di una rata costante caratterizzata da quote capitali crescenti e quote interessi decrescenti, ossia in capitalizzazione composta.

Come è stato recentemente affermato in dottrina:

… il monte interessi, corrispondente all’effettivo esborso, è dipendente, oltre che dal TAN, dal regime impiegato; questo peculiare aspetto rimane facilmente sottratto all’attenzione dell’operatore retail che associa al TAN la misura del prezzo”.

Poiché gli interessi prodotti dall’utilizzo dell’ammortamento alla francese sono superiori (in quanto risentono della capitalizzazione insita nella formula strutturata sulla produzione di interessi in misura esponenziale), sarebbe sufficiente, ai fini della determinatezza, che fosse indicata in contratto l’aliquota (più alta) corrispondente agli interessi espressi in regime semplice, che chiarirebbe qual è l’effettivo prezzo (limitatamente al tasso) del contratto.

D’altra parte, il piano di ammortamento ha valore precettivo nella misura in cui è coerente in ogni suo aspetto con le previsioni contenute nel mutuo, rispetto al quale si pone come accordo esecutivo.

Laddove il piano aggiunga elementi non previamente esplicitati nel contratto di mutuo, ad esempio riportando la misura con cui le rate sono ripartite in quota interessi e quota capitale, ma senza indicare che il regime finanziario è in capitalizzazione composta e quindi determina la produzione di maggiori interessi dovuti ad un’esazione anticipata rispetto alla scadenza delle rate, non è in grado di sanare l’indeterminatezza della clausola; sul punto è stato affermato in dottrina:

“… il piano di ammortamento è una tabella che descrive la dinamica di un’operazione di scambio in base ad un tasso stabilito e alla struttura della rata definendo, ad ogni scadenza, la quota capitale e interessi da imputare sulla singola rata. Infatti, il piano di ammortamento può essere costruito solo dopo aver calcolato il valore della rata per cui l’operazione di rimborso è in equilibrio in relazione al rapporto dare avere tra le parti. Ne consegue, necessariamente, che per definire il piano di ammortamento debba essere stabilito, oltre al tasso di interesse, il regime di interessi da utilizzare per l’imposizione del principio di equità finanziaria da cui scaturisce il valore della rata”.

In sostanza, un T.A.N. in regime composto e l’equivalente T.A.N. in regime semplice, come è stato osservato in dottrina, “conduce al medesimo risultato economico, ma solo quest’ultimo costituisce l’effettivo prezzo, espressione economica del costo in ragione d’anno al quale va incontro il mutuatario”.

Di fatto, l’applicazione del tasso nominale annuo convenuto in contratto senza alcuna specificazione del regime di calcolo dell’interesse determina una sottostima dell’onere posto a carico del mutuatario, al quale, come è stato aggiunto dalla medesima dottrina,

“… per lo più sfugge la dinamica esponenziale del tasso composto: intuitivamente non è così facile, anche per soggetti culturalmente emancipati ma non specializzati nella materia, percepire e acquisire consapevolezza della diversa dimensione del monte interessi che si viene a creare in un finanziamento a tasso composto rispetto ad un finanziamento a tasso semplice. D’altra parte, come accennato, il prezzo del finanziamento, più che dal tasso, è propriamente espresso dall’ammontare degli interessi corrisposti e questi ultimi dipendono anche dal regime finanziario adottato, congiuntamente alla frequenza temporale dei termini di pagamento”. È stato altresì aggiunto che nell’ammortamento alla francese “… definito il valore della rata costante, è determinato il monte interessi e quindi il prezzo del finanziamento in termini assoluti”; per cui “… per determinare la corrispondente aliquota percentuale dell’interesse in ragione d’anno prevista dall’art. 1284 c.c., occorre definire il criterio di imputazione delle rate”.

A quest’ultimo riguardo, il C.T.U. ha precisato che “il piano di ammortamento alla francese è ossequioso del dettato dell’articolo 1194 c.c., in quanto prevede, correttamente, un criterio di restituzione del debito che privilegia sotto il profilo cronologico l’imputazione più ad interessi che a capitale”.

In dottrina è stato tuttavia osservato che “… il monte interessi maggiorato, riveniente dalla rata costante determinata in regime composto, è indipendente dal criterio di imputazione (a capitale e interessi) della rata, in quanto nel regime composto è il montante ad ogni scadenza, dedotto l’importo della rata, ad essere produttivo di interessi” (in tal modo gli interessi risultano pagati anticipatamente rispetto alla scadenza del capitale e al tempo stesso il monte interessi permane maggiorato nel valore esponenziale della capitalizzazione composta).

È perciò consequenziale ritenere che le clausole inerenti il calcolo degli interessi nel contratto oggetto di giudizio non siano determinate, posto che ad un medesimo T.A.N. possono corrispondere monti interessi di diversa entità a seconda del regime finanziario adottato. Infatti, è stato evidenziato da autorevole dottrina che:

La criticità insorge se nel contratto di finanziamento con piano di ammortamento alla francese (a rata costante) è riportato il TAN ma non è convenuto né il regime finanziario, né il riferimento del calcolo degli interessi – al capitale in scadenza o al debito residuo – e nell’allegato vengono riportati dei valori numerici che all’operatore retail, privo di un’expertise specifica, nulla dicono di tali scelte, che risultano di fatto diverse da quelle evocate dall’art. 821, 3° comma c.c..

Poiché, nella circostanza, per un medesimo tasso espresso dal TAN, l’ammontare degli interessi varia apprezzabilmente in funzione dei patti che regolano le modalità di produzione e pagamento, il prezzo del finanziamento può risultare, per l’operatore economico, formalmente inespresso e indeterminato. La legge matematica che regola la determinazione dell’oggetto del contratto rimane celata nell’implicito calcolo della rata, ponendo per altro un problema di rispetto dell’art. 1284 c.c.

Se il medesimo TAN può dare luogo a due distinte e diverse prestazioni, senza l’esatta identificazione del regime finanziario adottato che consenta di ‘eseguire un calcolo

matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto’, viene meno il requisito di determinabilità imposto dall’art. 1284 c.c.” (sulla validità della clausola determinativa degli

interessi corrispettivi stipulata ex art. 1284 c.c., cfr. Cass. n. 25205/2014; conf. Cass. n. 8028/2018).

Da quanto sopra discende la violazione dell’art. 1284, comma 3, c.c., non in quanto l’ordinamento vieti l’utilizzo della capitalizzazione composta (a meno che produca anatocismo), bensì perché non può affermarsi la conformità a detta norma del criterio di determinazione degli interessi (nella specie ultralegali) indicato in contratto, che produce effetti invalidanti anche sulla volontà contrattuale del mutuatario in merito alla relativa clausola, poiché – come espresso dalla S.C. – se le difficoltà di calcolo non rilevano, i criteri di calcolo devono però essere riportati con esattezza in contratto.

Perciò la clausola relativa al tasso di interesse contenuta nel mutuo, da un punto di vista giuridico, non soddisfa il requisito della determinatezza o determinabilità del suo oggetto, richiesto a pena di nullità dalla disciplina dei contratti ex artt. 1418, 1346 c.c., come costantemente affermato, in materia di mutuo, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. n. 12276/2010, secondo la quale “affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse”).

Quanto alle conseguenze, è stato affermato da Cass. n. 1189/2003: “È giurisprudenza costante di legittimità che l’estensione all’intero contratto della nullità delle singole clausole o del singolo patto, secondo la previsione dell’art. 1419 c.c., ha carattere eccezionale perché deroga al principio della conservazione del contratto e può essere dichiarata dal giudice solo in presenza di un’eccezione della parte che vi abbia interesse, perché senza quella clausola non avrebbe stipulato il contratto (Cass. 3 febbraio 1995 n. 1306)”. Cass. n. 16017/2008, sulla stessa linea, ha precisato: “Questa Corte ha ritenuto che l’effetto estensivo della nullità della singola clausola o del singolo patto all’intero contratto, avendo carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione, non può essere dichiarato d’ufficio dal giudice ed è onere della parte che assume l’anzidetta estensione di allegare tempestivamente, e di provare con ogni mezzo idoneo, l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dal patto inficiato da nullità (Cass. 11.8.1980, n. 4921)”.

In nessun punto delle difese dell’attore si eccepisce che senza la clausola, affermata e poi risultata nulla, i mutuatari non avrebbero stipulato il contratto; di conseguenza opera la sostituzione delle clausole nulle ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c., e quindi – ai sensi del terzo comma dell’art. 1284 c.c. – l’applicazione del tasso di interesse legale in luogo di quello ultralegale.

Il mancato calcolo da parte del C.T.U. delle rate al tasso sostitutivo sopra indicato e in regime finanziario di interesse semplice, non consente allo stato di stabilire gli importi pagati in eccesso dalla mutuataria.

Ciò tuttavia non osta all’indicazione del principio in virtù del quale dovrà essere determinata la somma che, stante il diritto di ripetizione di cui all’art. 2033 c.c. in capo all’attore, la banca dovrà portare in compensazione con le rate a scadere, né il criterio che l’istituto dovrà seguire per calcolare la rata.

Il piano di ammortamento del mutuo del 2005 (fino all’ultima rata calcolata al tasso variabile ivi pattuito) e quello risultante dalla rinegoziazione nel 2008 del tasso da variabile a fisso e dell’aumento della durata dell’ammortamento, dovranno quindi essere ricalcolati a rata costante in regime di interesse semplice e, a parziale modifica di quanto ritenuto in altre decisioni, con applicazione del tasso legale, fermi restando gli oneri e le spese pattuiti.

La somma pagata in eccesso da parte della mutuataria dovrà essere compensata con le rate a scadere e dalla banca restituita ove di importo superiore, sempre che non venga azionato il diritto di recesso anticipato.

Ulteriore motivo di indeterminatezza si riscontra nel fatto che in contratto è previsto all’art. 6 che la quota capitale rimanga la stessa indicata nello sviluppo del piano di ammortamento allegato al contratto, a prescindere dal fatto che la quota interessi possa cambiare in ragione della variabilità del tasso derivante dal parametro di indicizzazione. Il che si pone in contrasto con il “principio finanziario basilare”, affermato dallo stesso C.T.U., secondo il quale “la sommatoria dei valori attuali delle rate debba essere esattamente pari al capitale finanziato”. E’ evidente infatti che, per mantenere le condizioni di chiusura finanziaria, occorre che la somma delle quote capitali sia pari al capitale erogato, così come la somma delle rate attualizzate al tempo iniziale. Ma siccome le singole quote capitale sono già fissate (il che significa che anche il capitale residuo dopo ogni pagamento è pure già fissato, in quanto dipendente dal rimborso della quota capitale), è impossibile che il tasso di interesse corrisponda a quello determinato con l’applicazione dei criteri pattuiti in contratto.

“La domanda avanzata in via subordinata è perciò fondata”.

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