Pubblicato il 15 luglio 2021

OBBLIGO DI CONSEGNA DEGLI ESTRATTI CONTO

Arbitro Bancario Finanziario, decisione n. 12261 del 12 maggio 2021

La c.d.  limitazione ai dieci anni anteriori (4° comma, art. 119 TUB) costituisce previsione dettata, soltanto per i documenti relativi alle singole operazioni (ad es. copie degli assegni, bonifici, prelievi dello sportello o dei versamenti), e non deve essere estesa anche ai documenti sintetici (estratto conto)

Nei documenti sintetici,  sono raggruppate le operazioni compiute in un determinato periodo, con lo scopo di rappresentare in maniera chiara e sintetica tutti i rapporti di debito/credito tra le parti; per i rapporti regolati in conto corrente, il 2° comma dell’art. 119 espressamente prevede che tale documento di sintesi sia rappresentato dall’estratto conto ed, ancora, la banca ha l’obbligo di conservazione di tali documenti dall’apertura del contratto fino alla sua chiusura.

Bisogna rammentare che gli estratti conto, non rappresentano la «documentazione inerente a singole operazioni», secondo il disposto del citato art. 119, 4° comma, Tub, ma costituiscono, esclusivamente, per il cliente, un resoconto sulle movimentazioni di conto che, ai sensi del 2° comma dell’art. 119 Tub, viene inviato con periodicità al cliente; onde, la produzione di estratti conto non è soggetta al limite decennale di cui all’art. 119, 4° comma, Tub.

“(…) in sede di reclamo, la Resistente ha chiarito al cliente che non è tenuta a conservare la documentazione relativa a operazione effettuate da più di dieci anni, come affermato anche dall’Arbitro (cfr. ABF Milano, n. 2023/2016; ABF Roma, n. 4563/2015; ABF Napoli, n. 3446/2014 ed ABF Bari, n. 8435/2017) e dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Modena, n. 391/17) (…) Parte ricorrente deposita repliche alle controdeduzioni dell’intermediario, ove quanto segue:

1) il dies a quo per la conservazione degli estratti conto nel termine di dieci anni decorre dal momento della chiusura del contratto che in ogni caso non è mai stato chiuso considerando che è in corso e in “esecuzione”;

2) l’art. 117, comma 1°, Tub prevede l’obbligo della banca, nel momento in cui le parti stipulano per iscritto il contratto, di consegnarne una copia al cliente: se il cliente dovesse richiedere una nuova copia alla banca (o dovesse richiedere alla banca la consegna della proposta dallo stesso sottoscritta, in quanto in possesso solamente dell’accettazione sottoscritta dalla controparte), la stessa non potrebbe rifiutarsi di consegnarla, “trincerandosi” dietro al decorso del termine decennale dalla stipulazione, previsto dall’articolo 119, comma 4°, Tub, dal momento che quest’ultima norma si riferisce alla documentazione riguardante singole operazioni mentre il contratto è fenomeno giuridico a monte delle singole operazioni, che possono essere considerate atti esecutivi del contratto di conto corrente;

3) il termine decennale, previsto dall’art. 119, comma 4°, Tub, pertanto, non si applica al contratto di conto corrente, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza (cfr. App. Milano, 22.5.2012, n. 1796); se il rapporto di conto corrente non è ancora cessato, non è neppure iniziato a decorrere il termine prescrizionale del diritto a ottenere copia del contratto;

4) l’art. 2220 c.c. impone all’imprenditore di conservare le scritture contabili per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione e, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione (da ultimo, Cass., 18.9.2014, n. 19696; Cass., 2.8.2013, n. 18541; Cass., 26.1.2011, n. 1842): “la “ratio” posta a fondamento dell’obbligo di conservazione delle scritture contabili per un decennio va individuata nell’esigenza di assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, rispetto ad un’eventuale posizione creditoria da essi fatta, circostanza da cui discende che un eventuale inadempimento al riguardo da parte dell’istituto di credito potrebbe eventualmente rilevare, a favore della controparte, sotto il profilo della violazione dell’art. 1375 c.c.”. Appare equo che la banca conservi le scritture contabili per (almeno) dieci anni dopo la chiusura del rapporto, in quanto entro questo lasso temporale non solo può chiedere il pagamento al cliente del saldo, ma anche il cliente può sollevare nei confronti della banca contestazioni e, qualora questi abbia già pagato, avanzare anche domande di ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.);

 5) il generale principio di buona fede (art. 1375 c.c.) impone alla banca di conservare le scritture contabili finché esiste un interesse informativo in capo al cliente della banca e quindi almeno per dieci anni dall’ultima registrazione, id est dalla chiusura del conto: come ricorda la Cassazione (Cass., 27 settembre 2001, n. 12093), il rapporto banca – cliente “è fondato sul principio di buona fede, che è clausola generale di interpretazione e di esecuzione del contratto e fonte di integrazione della regolamentazione negoziale, ai sensi degli artt. 1366, 1375, 1374 c.c.; sicché, al di là del disposto dell’art. 119 Tub, il diritto sostanziale di cui trattasi viene a trovare riscontro nel dovere di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), concorrendo la buona fede alla “conformazione di tale regolamentazione in senso ampliativo restrittivo, rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale”»;

6) anche qualora non si volesse attribuire agli estratti conto forza di scritture contabili, andrebbe determinata l’esatta qualificazione del rapporto giuridico intercorrente tra banca e cliente in quanto la prima esegue operazioni bancarie in conto corrente: a questo fine soccorre l’art. 1856 del Codice civile, il quale specifica che “La banca risponde secondo le regole del mandato” e, se la banca è mandataria, allora è tenuta al rendiconto nei confronti del cliente ai sensi dell’art. 1713 c.c., dovendogli rendicontare le operazioni, attive e passive, compiute per suo conto (…) “

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