Parte Attrice conviene in giudizio per richiedere all’Istituto di credito le somme illegittimamente percepite su di un contratto di conto corrente.
Essendo emersa la mancanza di pattuizioni in forma scritta (vista anche la mancata ottemperanza della banca all’ordine di esibizione impartito), deve giudicarsi in primo luogo corretto il riferimento per il ricalcolo, ai tassi sostitutivi ex art. 117 TUB, norma che prevede in tal caso la necessità di applicare “il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione
In merito alla valida pattuizione delle commissioni di massimo scoperto, va parimenti condiviso il modus operandi del CTU di conservarne l’addebito nei periodi in cui l’onere in questione è risultato specificamente pattuito e di escluderlo, viceversa, per il periodo in cui si verificava l’assenza di qualsivoglia regolazione scritta.
Non possono riconoscersi a favore della banca le voci di addebito per le quali non veniva mai espressa esplicita pattuizione come ad esempio per le commissioni disponibilità fondi nel rispetto delle disposizioni dell’art. 118, comma 2, TUB in via di adeguamento alle nuove disposizioni normative introdotte con l’art. 117 bis del testo unico.
Anche le altre spese addebitate sul conto non possono trovare riconoscimento a favore dell’istituto di credito, giacché non regolate da alcun documento presente in atti.
“(…)In definitiva, all’esito della consulenza tecnica, sulla base degli anzidetti criteri, è emerso un saldo alla data di chiusura del conto corrente di € 53.304,29 a credito per la correntista (…)”