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Pubblicato il 1 febbraio 2018

USURA SOPRAVVENUTA – Corte di Cassazione s.u. sent. N. 24675 del 19 ottobre 2017

Secondo i Giudici della Suprema Corte per la valutazione sull’usurarietà del tasso conta solo il momento della stipula: ma le motivazioni non convincono

Palazzaccio

Le sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su uno dei temi più controversi nell’ambito del contenzioso bancario: la clausola di determinazione degli interessi stipulata prima dell’entrata in vigore della legge antiusura, la n. 108/96, o stipulata successivamente per un tasso all’epoca sotto-soglia, ma poi divenuto nel frattempo superiore alle soglie determinate ex art.2 della legge anti usura, può ritenersi valida ed efficacie?

La questione, come noto, nasce dai dubbi circa l’applicabilità o meno delle norme anti-usura fissate dalla legge n.108/96 ai contratti di mutuo stipulati prima dell’entrata in vigore di quest’ultima e consiste nel chiarire quale sia la sorte della pattuizione di un tasso d’interesse che, a seguito dell’operatività del meccanismo previsto dall’art. 2 della stessa legge per la determinazione del tasso oltre il quale un tasso è da qualificare come usurario, si riveli superiore a detta soglia.

Le sezioni unite civili della Corte di Cassazione, con sentenza nr. 24675/2017 pubblicata in data 19 ottobre 2017, sembrano aver deciso in termini negativi.

Per altro, la questione della “usura sopravvenuta” si pone non soltanto per i contratti stipulati prima della entrata in vigore della legge n.108/96 ma anche con riferimento a contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge, recanti tassi inferiori alla soglia di usura al momento della stipula ma superata poi nel corso del rapporto per effetto della eventuale diminuzione dei tassi soglia così determinati ai sensi dell’art. 2 della legge citata.

Come ben rilevato dagli Ermellini, la questione sorse immediatamente all’indomani dell’entrata in vigore della legge n.108/96, il ché indusse il legislatore ad intervenire d’urgenza con il D.l. nr. 394/2000, norma di interpretazione autentica della legge antiusura, stabilendo che:

Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.”

Orbene, nell’articolato dispositivo della sentenza in esame gli Ermellini riassumono gli orientamenti giurisprudenziali seguiti nel corso degli anni dalle sezioni semplici della Suprema Corte essenzialmente in due principali correnti.

La prima corrente (cfr. Cass. Sez. III 26/06/2001 e da ultimo Cass. Sez.I 19/01/2016 n.801), la quale da alla configurabilità dell’usura sopravvenuta risposta negativa, in quanto la norma di interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, solo al momento della pattuizione dello stesso e non al momento del pagamento degli interessi.

La seconda corrente invece (cfr. tra le altre, Cass. Sez. III 13/05/2002, Cass. Sez. I 25/02/2005, Cass. Sez. I 25/02/2005 n. 4093, Cass. Sez. I 11/01/2013 n.602) sarebbe quella che afferma l’incidenza della legge antiusura sui contratti stipulati prima della legge n.108/96 ma ancora in corso al momento della sua entrata in vigore. Tale secondo orientamento ha considerato non valida la previsione di cui al secondo comma del novellato art. 1815 c.c., (ovvero la nullità ex tunc della clausola degli interessi fissati nel frattempo divenuta superiore ai limiti di legge) ma ne ha comunque riconosciuto la inefficacia (per altro non rilevabile d’uffico) ex nunc, imponendo di fatto “la riconduzione entro le soglie” del tasso d’interesse convenzionale nel frattempo divenuto usurario, seguendo il principio di “sostituzione automatica di clausole” ai sensi degli artt. 1319 e 1419 secondo comma c.c.

In tal senso, da ultimo, Cass. Sez.I 12/04/2017, n. 9405 la quale nell’affermare l’applicabilità del tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale che sia divenuto superiore ad esso, fa espresso riferimento alla sopracitata norma di interpretazione autentica, escludendone però la rilevanza in quanto essa non eliminerebbe l’illeceità della pretesa di un tasso ormai eccedente la soglia dell’usura, ma si limiterebbe ad escludere l’applicazione delle sanzioni penali e civili di cui agli art. 644 c.p. e 1815 secondo comma c.c., ferme restando le eventuali altre sanzioni civili.

Ques’ultima tesi, per altro di favore maggioritario sia in dottrina che giurisprudenza, afferma che mentre sarebbe sanzionata penalmente e civilmente – con la gratuità – la pattuizione di interessi che superino la soglia di legge al momento della pattuizion, la pretesa di pagamento di interessi a un tasso non usurario al momento della pattuizione, ma divenuto tale nel corso del rapporto, sarebbe illecita solo civilmente. Le conseguenze di tale illeceità, come sopra accennato, importano una efficacia ex nunc della clausola relativa gli interessi e comprendono la sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1339 codice civile, del tasso contrattuale o con il tasso soglia (secondo una versione) o con il tasso legale secondo un’altra versione.

Con la sentenza in commento però, le Sezioni Unite ritengono che debba darsi continuità al primo dei due orientamenti, che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica degli art. 644 c.p. e 1815 secondo comma cod. civ. come modificati dalla legge n.108/96. Questo perché, a detta dei Giudici componenti il collegio che ha emesso la pronuncia in commento, in quanto è configurabile un illecito civile solo in quanto vi sia la violazione dell’art. 644 c.p. a proposito del quale tuttavia, il legislatore ha appunto dettato una norma di interpretazione autentica che da rilevanza alla fattispecie di usura unicamente al momento in cui gli interessi sono pattuiti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Concludono quindi gli Ermellini affermando il seguente principio di diritto:

Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura determinata in base alle disposizioni della legge n.108/96, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.

MA COSI’ LA LEGGE ANTI-USURA DIVENTA UN GUSCIO VUOTO FACILMENTE ELUDIBILE E PRIVO DI ALCUNA EFFICACIA PRATICA NELLA GRAN PARTE DEI CASI

Una sentenza, quella di che trattasi, destinata ad avere un certo impatto nella materia del contenzioso bancario che non chiarisce però alcune macroscopiche contraddizioni rinvenibili dalla lettura sistematica della norma primaria (art. 644 c.p.) e dalla norma di interpretazione autentica, sforzo questo in cui i Giudici del Palazzaccio sembrano essersi prodigati ma senza convincere affatto.

Se è vero infatti che la norma di interpretazione autentica (emessa – è bene ricordarlo – per evitare di fatto che la legge n.108/96 risultasse operativa anche per i contratti in essere prima della sua entrata in vigore), da rilevanza, ai fini della valutazione sul concretizzarsi della fattispecie di usura, solo al “momento in cui gli interessi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, confinando quindi la concretizzazione della fattispecie di usura al momento della pattuizione degli interessi, è vero anche che la norma primaria stabilisce invece espressamente che “Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari [c.c. 1448, 1815], è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.”

Orbene a meno di ignorare a bella posta i termini specifici utilizzati dallo stesso legislatore nella norma primaria, che non risulta essere stata abrogata neanche implicitamente da interventi legislativi successivi, non si può non convenire col fatto che la locuzione “dare”, contenuta nell’art. 644 c.p., indica chiaramente che non solo il farsi “promettere” ma anche il farsi dare, interessi o altri vantaggi usurari, concretizzi la fattispecie di reato.

Si tratta di una previsione di assoluta ragionevolezza e, almeno a parere di chi scrive, di grande utilità pratica. Si pensi a cosa accade in tutti quei casi, e sono numerosi anche quando la controparte è un Intermediario finanziario regolarmente autorizzato, in cui il contratto non esista o sia radicalmente nullo (il tipico esempio è quello dei contratti con rinvio agli usi). Cosa accade in tal caso? A voler interpretare la fattispecie con le stesse argomentazioni utilizzate dagli estensori della pronuncia in commento, la legge antiusura non sarebbe neppure applicabile dal momento che non vi sarebbe in tal caso un “interesse convenuto”. Da qui la previsione del legislatore primario di punire non solo la pattuizione ma anche la dazione di interessi usurari. In caso contrario del resto, si confinerebbe la previsione di legge alla censura della semplice volontà negoziale delle parti – o meglio di una parte sola, quella creditrice e cioè la Banca – così come emergente al momento della stipula, circostanza quest’ultima che sebbene abbia rilevanza fondamentale sul piano delle sanzioni penali e civili, non può essere del tutto assorbente rispetto allo spirito della norma che non è, solo, quello di punire il reato di usura nelle “intenzioni” ma anche e soprattutto quello di evitare che la parte debole-il debitore-venga esposto ad un onere finanziario spropositato rispetto agli andamenti dei tassi di mercato.

E’ in buona sostanza evidente del resto come una simile ristretta interpretazione mal si presti a disciplinare contratti di durata pluriennale come quelli di finanziamento e che anzi il rischio concreto è quello di trasformare la disciplina anti usura in un guscio vuoto facilmente eludibile con un minimo di scaltrezza tecnica e un po’ di competenze di matematica finanziaria, elementi questi che certo non mancano alla parte contraente forte, cioè le Banche. Non ha infatti il benché minimo senso prevedere un reato che si concretizzi solo se sulla carta è pattuito un tasso superiore alle soglie nel mentre sarebbe poi del tutto lecito agire, di fatto, in senso contrario, appunto facendosi “dare” interessi usurari, sebbene si sia stati abbastanza scaltri da non farseli promettere. Emerge qui in buona sostanza, a parere di chi scrive, una impostazione troppo dogmatica, tutta incentrata sul piano della mera astrazione giuridica ma assai lacunosa sul piano tecnico e pratico, anzi, del tutto avulsa proprio dal piano pratico e questo per almeno un paio di buone ragioni.

Innanzitutto, per come sono costruiti la stragrande maggioranza del piano di ammortamento, ovvero “alla francese” o alla “italiana”, la quota interessi viene determinata, rata per rata, applicando un certo tasso al debito residuo risultate dall’ultimo pagamento. Questo rende quindi sempre possibile per l’Intermediario finanziario variare il tasso d’interesse in maniera tale che esso risulti essere sempre inferiore o almeno uguale al tasso soglia, i cui valori sono noti sempre alla fine del trimestre precedente quello di entrata in vigore.

Sotto tale aspetto quindi, e cioè sul piano meramente tecnico, l’usura sopravvenuta non esiste affatto ma per ragioni del tutto opposte rispetto a quelle argomentate dai Giudici, ovvero semplicemente per una mera questione tecnica: i tassi soglia sono infatti sempre noti almeno un trimestre prima rispetto al momento di effettivo calcolo (o ricalcolo nel caso di tasso variabile) sia degli interessi che della rata di rimborso e non vi sarebbe quindi alcuna ragione di diritto per permettere che il creditore continui ad applicare un tasso nel frattempo divenuto usurario, ovvero a pretendere interessi contra legem. Tantomeno vale in proposito la considerazione della “tutela dell’affidamento” invocata da parte della dottrina e della giurisprudenza,  dal momento che i sistemi informativi bancari sono ad un tale grado di avanzamento da permettere, senza neanche l’intervento umano, un automatico adeguamento dei tassi d’interesse da applicare – rata per rata – alle soglie tempo per tempo vigenti ex art.2 L.108/96 e senza alcun costo aggiuntivo per la Banca. Il meccanismo è lapalissiano soprattutto nel caso di un prestito a tasso variabile: in tal caso infatti è evidente come il calcolo degli interessi su ciascuna rata sia compiuto in un momento successivo a quello di stipula, che il tasso applicato (in genere Euribor) sia soggetto a continue variazioni ma nonostante questo le rate vengano calcolate automaticamente e puntualmente senza alcun intervento materiale diretto del Direttore di filiale.
Quello che in buona sostanza a molti operatori del diritto (e non solo) sembra sfuggire, è che anche nel caso finanziamento a tasso fisso, la tecnica di ammortamento di un prestito è esattamente la stessa: la quota interessi di ciascuna rata viene sempre calcolata con riferimento al debito residuo risultante dall’ultimo pagamento per cui è sempre ed in ogni momento possibile adeguare il tasso senza alcun costo e senza nemmeno che si verifichi una “perdita di guadagno” e questo per una ragione molto semplice: in nessun caso, se la Banca impegnasse le somme di cui è creditrice in un nuovo finanziamento, potrebbe ottenere un rendimento più alto del tasso soglia vigente. Da tale punto di vista quindi e cioè in senso strettamente tecnico, la “promessa” di pagamento, (cioè il calcolo della rata) più che al momento di stipula del contratto, può farsi risalire tecnicamente sempre al momento immediatamente precedente la scadenza della singola rata e siccome i tassi soglia sono sempre noti alla fine del trimestre precedente quello di entrata in vigore, non esiste di fatto alcuna alea “inconoscibile” o “imprevisto” che dir si voglia ad esonerare il creditore dall’adeguamento della pretesa creditoria in termini di interessi, commissioni e spese, ai tassi soglia tempo per tempo vigenti.

Il paradosso dell’enunciato della sentenza in commento del resto, risale in questo e cioè che, di fatto, ad essere “protetti” rispetto alla dazione di interessi usurari, sono soltanto i mutuatari che abbiano stipulato un prestito a tasso variabile per i quali l’enunciato della sentenza in commento non può certo valere a meno di non voler seppellire, sotto la croce dorata di un elegante formalismo giuridico, la legge anti-usura.

Su tale punto del resto, i Giudici stessi convengono pure, nella sentenza in commento, che la questione dell’usura sopravvenuta pur ponendosi, in teoria, sia per i finanziamenti a tasso fisso che variabile, si pone in pratica solo essenzialmente per i finanziamenti a tasso fisso, dato che la variabilità consente normalmente di assorbire gli effetti del calo dei tassi di mercato. I Giudici cioè sembrano riconoscere che per i i finanziamenti a tasso variabile il superamento delle soglie di usura difficilmente può essere “evento imprevisto” (sopravvenuto appunto rispetto ad una previsione lecita in origine). Quello che però sembrano ignorare, è che in realtà non vi è alcun ostacolo, né tecnico né di altra natura, al ché l’importo della rata di un mutuo o di un prestito, per la parte corrispondente alla quota interessi, possa essere sempre rideterminato per far si che la misura complessiva degli interessi richiesti non ecceda il tasso soglia tempo per tempo vigente. L’effetto della sentenza è quindi paradossale perché in pratica da questo momento in poi viene creato una sorta di “doppio binario”: per i prestiti a tasso fisso, il debitore risulta esposto al rischio di dover corrispondere interessi oramai fuori mercato, ovvero interessi a tassi usurari, mentre per i prestiti a tasso variabile, scatterebbe comunque l’obbligo da parte della Banca di non applicare tassi superiori alle soglie. Una dicotomia difficile da ipotizzare come voluta dal legislatore che invece, con la legge anti-usura, si è preoccupato appunto di fissare una misura oggettiva, cioè il tasso soglia, “valido erga omnes”, sempre ed in ogni caso e certamente a prescindere dalla forma tecnica – tasso fisso o tasso variabile – scelta per il rimborso del prestito.

Ma vi è di più: nelle motivazioni della sentenza in esame, tutte le argomentazioni vengono svolte su un piano squisitamente formale e giuridicamente astratto rispetto al concreto svolgersi dei rapporti di finanziamento per i quali non è, dal punto di vista fattuale, il “tasso convenuto” alla stipula, a rappresentare il vero costo per il debitore ma il tasso effettivo globale concretamente applicato, il quale tuttavia può essere– ed in effetti spesso è – superiore rispetto a quello scritto in contratto. Da tale punto di vista non si capisce quindi per quale ragione accordare tutela giuridica rispetto ad una pretesa creditoria che di fatto risulti essere fuori misura rispetto al tasso soglia, nel momento in cui essa viene concretamente posta in atto, ovvero con la dazione, che di solito avviene con l’addebito della rata del finanziamento sul conto corrente o con la richiesta di pagamento ed eventuale messa in mora.

E’ del resto noto che gli interessi propriamente detti sono solo una componente del costo del credito. Spese di incasso rata, spese di istruttoria, assicurazioni ed oneri variamente detti, pure contribuiscono ad incrementare in maniera significativa il costo del credito. Sicché ad essere rilevante per la valutazione dell’usura contrattuale, ovvero il superamento del tasso soglia al momento della stipula, più che il tasso di interesse propriamente detto, è il TAEG (tasso annuo effettivo globale). Tuttavia, spesso, nei contratti di finanziamento il TAEG non risulta affatto indicato o risulta indicato in maniera non corretta e, in ogni caso, non raramente gli Intermediari finanziari applicano tassi diversi rispetto a quelli pattuiti oppure applicano spese, oneri e commissioni in misura maggiore rispetto a quanto pattuito in contratto. In tal caso quindi, all’Intermediario che abbia intenzioni fraudolente, per evitare le sanzioni che scattano con il concretizzarsi della fattispecie di usura, basterebbe provare che il tasso d’interesse pattuito al momento della stipula risultasse inferiore al tasso soglia vigente, indipendentemente poi da una concreta valutazione circa il tasso effettivo d’interesse globale concretamente applicato. A quel punto infatti, al mutuatario, non resterebbe che invocare la violazione delle norme sulla trasparenza bancaria e la conseguente applicazione delle sanzioni di cui all’art. 117 T.u.b., ovvero la sostituzione del tasso d’interesse corrispettivo con i tassi Bot, nel mentre risulterebbe del tutto precluso il poter invocare le sanzioni previste per la fattispecie di usura che, seppur concretizzatasi nella realtà, con il “farsi dare” da parte della Banca interessi superiori al tasso soglia, non si è palesata nella originaria volontà negoziale, ovvero non fu trascritta “nero su bianco” in contratto. Un vero pasticcio giuridico insomma, che nel tentativo di “fare chiarezza” su un tema molto controverso, che sembra (certo involontariamente) aver finito per regalare alle Banche – in posizione dominante rispetto al debitore – un vantaggio che non si riscontra in nessun altro settore dell’economia: la possibilità di fatto di eludere in qualsiasi momento una norma imperativa senza pagare le sanzioni direttamente previste dalla norma stessa ma semmai incorrendo nella semplice violazione del dovere di buona fede contrattuale prevista dall’art.1375 c.c.

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