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Pubblicato il 27 luglio 2018

DIVIETO DI FALCIDIA DELL’IVA NELLE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO AL VAGLIO DI COSTITUZIONALITA’- Tribunale di Udine, ord. del 14 maggio 2018, Est. Massarelli

L’imposta sul valore aggiunto gode del privilegio mobiliare di cui all’art. 2572 c.c. terzo comma ma la norma speciale contenuta nell’art. 7 della legge n.03/2012 prevede la sua infalcidiabilità. Una previsione quest’ultima che è sospetta di incostituzionalità

La questione della infalcidiabilità dell’IVA nelle procedure di composizione della crisi da svoraindebitamento prevista dall’art. 7 della legge n.03 del 2012 è stata portata al vaglio del Giudice delle leggi da parte del Tribunale di Udine, nel tentativo di dirimere il contrasto con l’art. 2572 c.c. e di risolvere anche la disparità di trattamento che a questo punto si è venuta a creare tra gli imprenditori fallibili che possono accedere alla procedura di concordato preventivo  di cui agli art. 160 e ss. della Legge fallimentare e gli imprenditori non fallibili, per i quali in caso di crisi resta solo la possibilità di accedere alla procedura prevista dagli art. 7 e ss. della legge n.03 del 2012.

Per capire meglio la questione di costituzionalità posta dai Giudici del tribunale friulano, è innanzitutto necessario ricordare che l’imposta sul valore aggiunto (IVA), gode del privilegio mobiliare di cui all’art. 2572 c.c. terzo comma e risulta quindi falcidiabile come qualsiasi altro credito.

Stabilisce infatti il terzo comma dell’art. 2572 del c.c. che:

(1)hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito della società imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi.

(3)Hanno altresì privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le sopratasse dovute secondo le norme relative all’imposta sul valore aggiunto. (..)

Tale previsione risulta quindi in palese contrasto con l’art. 7, comma 1 della legge n°3 del 2012 che di seguito si riporta:

(1)Il debitore in stato di sovra-indebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’art. 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’art. 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 del codice di procedura civile e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. E’ possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. (…)

Il ricorso in questione cerca di far luce quindi su tale contrasto. L’art 273 della “Direttiva iva” obbliga infatti ogni Stato membro ad assicurare l’esatta riscossione dell’iva.

Tuttavia vi è una deroga alla riscossione totale. Nel caso di specie tale deroga si sostanzia nella norma interna che permette ad un imprenditore commerciale in stato di insolvenza di pagare solo parzialmente il suo debito per iva, qualora ciò avvenga nel quadro di una procedura seria e garantita quale quella del concordato preventivo.

In base a quanto sopraesposto parrebbe lecito considerare legittimo il pagamento non integrale dell’iva di cui all’art.7 comma 1 della legge 3/2012, poiché l’ordinamento dell’Unione Europea, considera lecito a determinate condizioni, che lo Stato consenta un recupero parziale dell’imposta sul valore aggiunto, purché ricorrano tutti i presupposti richiesti.

L’interpretazione data per cui, consente di ritenere che il divieto di falcidia dell’iva, previsto dalla norma prevista nella legge sulla composizione della crisi da sovra indebitamento, faccia salva l’ipostesi che la proposta preveda un trattamento rispetto a quello consentito in trattativa liquidatoria, esprimendo una regola generale rispetto a cui l’eccezione deve ritenersi non esclusa ma implicita.

Il Tribunale udines, infine richiamando due precedenti sentenze dei tribunali di merito (Tribunale di Pistoia, 26 aprile 2017 e Tribunale di Torino, 7 agosto 2017), i quali ammettevano la falcidiabilità dell’imposta, ha ravvisato delle analogie con la disciplina del concordato preventivo la quale, riconosce – in determinati casi – il pagamento non integrale dell’IVA, inoltre l’art. 3 della Costituzione disporrebbe l’uguaglianza di trattamento nei confronti di tutti i soggetti che si trovino nelle medesime condizioni.

Ravvisando un contrasto con la norma costituzionale sulla parità di trattamento dei consociati dell’ordinamento, il Tribunale di Udine ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta ed ha sospeso il procedimento fino alla decisione della Corte Costituzionale.

“(…)A ben vedere, poi, simile trattamento pare attuare anche una discriminazione su base censitoria fra gli stessi imprenditori commerciali: chi ha dimensioni limitate può accedere a procedure concordatarie ex L. n° 3/12 per risolvere la propria insolvenza, e falcidiare i crediti privilegiati incapienti, ma a costo di versare per intero l’Iva; gli altri invece possono prescindere da tale ultima imposizione, procedendo ad una falcidia generalizzata.

La dimensione dell’impresa commerciale in tal caso non pare essere criterio discretivo sufficiente, anche perché essa è mutevole nel tempo ed un soggetto, nel corso della sua attività economica, potrebbe o meno essere soggetta alle disposizioni della legge fallimentare a seconda di mere contingenze.

Per concludere, si può ritenere che l’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n° 3/12 (limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”) disciplina in modo irragionevolmente diverso situazioni simili, qualora dedotte in procedure concorsuali regolate dalle medesime cadenze di massima e dalle stesse finalità (…)

Il Tribunale visti l’art. 23 L. n° 87/1953 e l’art. 1 L. n° 71/1956; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 comma 1, terzo periodo, L. n° 3/12, limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”; sospende il procedimento fino alla decisione della Corte costituzionale(…)”

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