La Corte di Cassazione ribadisce la rilevanza del tasso di mora pattuito ai fini della verifica dell’usura pattizia

Corte di Cassazione (terza sez. civile), ordinanza n.27442 pubblicata il 30 ottobre 2018: è nullo il patto con il quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’articolo 2 della Legge 7/3/96 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi nuovamente sulla rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica dell’usura e lo fa questa volta concentrandosi sulla verifica del superamento della soglia al momento della stipula, confermando che se il tasso di mora supera la soglia fissata dalla legge n.108/96 si ha usura contrattuale, senza che rilevi la “maggiorazione” (di 2,1 punti percentuali) sul tasso soglia, rinveniente dalla indagine statistica di Banca D’Italia.

Una pronuncia importante, quella in commento, per un duplice aspetto: il primo, che ha a che fare con il fatto che a cadere sotto la scure degli Ermellini, sono due pronunce concordi dei tribunali di merito lombardi ed il secondo relativo alla estrema chiarezza delle argomentazioni utilizzate.

Fino a questo momento infatti, i Giudici del Tribunale di Milano ed in seguito quelli della Corte d’Appello di Milano, sono stati concordi nel ritenere che, ai fini della verifica del superamento delle soglie di usura al momento della stipula, fosse irrilevante la misura del tasso di mora pattuito in quanto “gli interessi moratori e quelli corrispettivi sono ontologicamente diversi perché, mentre i corrispettivi remunererebbero il capitale, gli interessi moratori sarebbero assimilabili ad una penale”.

Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte smonta di fatto questa tesi e lo fa con delle motivazioni molto articolate, al fine di dover, così si sono espressi i Giudici, “sgombrare il campo di analisi da espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei mantra ripetuti all’infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato il quale resta oscuro e serve solo ad aumentare la confusione e favorire l’ambiguità concettuale nonché la pigrizia esegetica”.

La Cassazione precisa quindi che, dal punto di vista dell’interpretazione letterale, nessuna delle norme che vietano la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi moratori. Tanto gli interessi compensativi che quelli moratori ristorano in differimento nel tempo del godimento di un capitale: essi differiscono nella fonte e nelle decorrenza, ma non nella funzione, che è quella di remunerare il capitale messo a disposizione dal Creditore.

Gli interessi corrispettivi remunerano un capitale di cui il creditore si è privato volontariamente, quello moratorio invece un capitale di cui il creditore è rimasto privo involontariamente; ma entrambi rappresentano una rappresentazione del fitto del capitale. Entrambi gli interessi sono remunerativi del capitale.

Secondo una interpretazione sistematica gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori sono quindi ambedue soggetti al divieto di interessi usurari, perché entrambi costituiscono la remunerazione del capitale: nel primo caso lo remunerano volontariamente, mentre nel secondo involontariamente.

ED IL TASSO SOGLIA DA PRENDERE A RIFERIMENTO E’ QUELLO “NORMALE” OVVERO SENZA ALCUNA MAGGIORAZIONE RISPETTO AL TEGM RILEVATO PER CATEGORIA DI OPERAZIONE

Nessun rilevanza assume poi, per i Giudici della III sez.civile, il fatto che il TEGM pubblicato nei vari D.M., suddiviso per categoria di operazioni, non contenga gli interessi moratori oppure che nei bollettini del Ministero dell’Economia non siano previsti gli interessi medi di mora praticati dal mercato. Ciò infatti “è normale” visto che la legge ha ritenuto di imporre al ministro del Tesoro la rilevazione dei tassi di interesse omogenei per tipo di contratto e non per titolo giuridico (non dividendoli tra interessi corrispettivi e moratori). Il saggio di mora medio non deve essere rilevato, non perché agli interessi moratori non si applichi la legge sull’usura, bensì perché la legge è concettualmente incompatibile con la rilevazione dei tassi medi per tipo di titolo giuridico.

Pertanto la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:
“è nullo il patto con il quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’articolo 2 della Legge 7/3/96 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”.

Il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto allora confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito con il tasso soglia di riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento (come prevede la Banca d’Italia): è infatti impossibile pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al tasso soglia previsto dalla Legge ma in base ad un fantomatico tasso soglia di mora, calcolato incrementando il TEGM di 2,1 punti percentuali, dal momento che nessuna norma lo stabilisce.

Da ultimo, la Cassazione precisa che l’articolo 1815 c.c. secondo comma colpisce i soli interessi corrispettivi e non i moratori.
Tale circostanza induce gli Ermellini a riconoscere per questi ultimi il solo tasso legale nel caso di supero del tasso soglia di usura.

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