verifichefinanziamenti.it > Home page > Giurisprudenza > Anatocismo e usura mutui > AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE E ANATOCISMO: ALLA RICERCA DI UNA SINTESI TRA MATEMATICA E DIRITTO

Pubblicato il 4 dicembre 2019

ALLA RICERCA DI UNA SINTESI TRA MATEMATICA E DIRITTO NELL’ANALISI DEL FENOMENO ANATOCISTICO NEL CONTRATTO DI MUTUO CON AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE (del Dott. Domenico Provenzano – Magistrato)

NOTE IN MERITO ALLA SENTENZA N. 605 DEL 30 MAGGIO 2019 DEL TRIBUNALE DI TORINO  (a cura del Dott. Domenico Provenzano, Magistrato)

Divulghiamo le note scritte dal dott. Domenico Provenzano, Magistrato del foro di Massa Carrara, in merito ad una recente sentenza del Tribunale di Torino (30 maggio 2019, est. Astuni) con la quale è stato escluso dall’organo giudicante che in un piano di ammortamento alla francese, anche se redatto in regime composto, possa concretizzarsi violazione del divieto di anatocismo ai sensi del combinato disposto degli art.1283 c.c. e 120 T.u.b.

ANTEFATTO: LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE ASTUNI POSTE A FONDAMENTO DELLA NEGAZIONE DI UN FENOMENO ANATOCISTICO NEI PIANI DI AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE

Con un articolato ragionamento, il dott. Astuni del Tribunale di Torino, nella sentenza n.605 del 30 maggio 2019, si è espresso in merito alla violazione dell’art. 1283 cc eccepita dai mutuatari con riferimento al piano di ammortamento francese arrivando a concludere che, pur in presenza di rata (quindi interessi) calcolati in regime di interessi composti, l’art. 1283 c.c. non risulterebbe violato in quanto:

“[…]La produzione di interessi su interessi è quindi causa bensì necessaria ma non sufficiente del divieto di anatocismo, poiché determinanti nella considerazione legislativa del divieto sono: dal lato del creditore, l’esigibilità immediata dell’interesse primario; dal lato del debitore, il pericolo di indefinita crescita del debito d’interessi, incalcolabile ex ante, prima che l’inadempimento si sia verificato.

Sotto questo profilo, la ratio legis del divieto di anatocismo s’avvicina a quella del divieto di patto commissorio, che costituisce come l’art. 1283 c.c. altro storico presidio dell’integrità della sfera giuridica del debitore, contro il rischio di convenzioni eccessivamente onerose e “in odore” di usura.

L’eccessiva onerosità della convenzione commissoria consiste, specificamente, nel pericolo di sproporzione tra il valore del bene al momento in cui si verifichi l’inadempimento e l’ammontare del debito non adempiuto, tanto è vero che la giurisprudenza ha ormai ammesso la validità della clausola marciana, che assicura che “il debitore perderà la proprietà del bene ad un giusto prezzo, determinato al momento dell’inadempimento, con restituzione della differenza rispetto al maggior valore” (Cass. 28.1.2015 n. 1625). Il pericolo di sproporzione è tuttavia rilevante come causa di nullità della convenzione commissoria soltanto se essa è anteriore al verificarsi dell’inadempimento, poiché l’art. 2744 c.c. non consente alle parti di convenire che “il trasferimento della proprietà della cosa sia condizionato sospensivamente al verificarsi dell’evento futuro ed incerto del mancato pagamento del debito”, ma non osta invece ad ammettere che “il trasferimento o la promessa di trasferimento vengano, invece, pattuiti al fine di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto e di liberare, quindi, il debitore dalle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza” (Cass. 12.11.1982 n. 6005; Cass. 5.6.2001 n. 7585; Cass. 6.10.2004 n. 19950; Cass. 28.6.2006 n. 14903) e ciò in quanto la dazione in pagamento è espressamente ammessa per valida anche se il bene trasferito è “di valore maggiore” (art. 1197).

Nel mutuo con ammortamento francese, o a rata costante, mancano entrambe le caratteristiche determinanti del divieto di anatocismo – rischio di crescita indefinita e incalcolabile ex ante del debito d’interessi dal lato del debitore; esigibilità immediata del pagamento degli interessi primari dal lato del creditore – anche a considerare la circostanza che il calcolo della rata utilizza l’interesse composto[…]

LE NOTE DEL DOTT. PROVENZANO ALLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI TORINO

In merito alle considerazioni sopra svolte dal Giudice Astuni del Tribunale di Torino, il Giudice Provenzano del Tribunale di Massa Carrara, già estensore di due sentenze (la n.797/2018 del 13 novembre 2018 e la n.160 del 27 febbraio 2019) che riconoscono la produzione di interessi anatocistici (i.e. di “interessi da interessi) nei piani di ammortamento alla francese redatti in regime di interesse composto, così si esprime nelle conclusioni:

“In definitiva, le incongruenze ed i profili di criticità della sentenza n. 605/2019 del Tribunale di Torino sin qui evidenziati sembrano (inevitabilmente) condizionati dal tentativo, che traspare dal complessivo impianto motivazionale, di escludere profili di interferenza di sorta tra l’impiego del regime finanziario della capitalizzazione composta ai fini dell’elaborazione dei piani di ammortamento a rimborso frazionato a rata costante (cd.“alla francese”) ed il fenomeno dell’anatocismo “convenzionale”, quale regolato dalla disciplina codicistica (intento del resto chiaramente rivelato dall’espressa negazione che “la ragione del divieto di anatocismo consista nella creazione di un argine alla progressione esponenziale del debito per interessi”, affermazione di per sè singolare); presupposto argomentativo, quello appena predicato, da cui deriva la postulata esclusione che “tale progressione esponenziale dipend(a) dalla legge di capitalizzazione composta”.

Siffatta opzione ricostruttiva risulta del resto recepita anche in numerose altre decisioni di merito; a titolo esemplificativo nella recente sentenza del Tribunale di Milano del 26.03.2019 n. 2332 139 , nella quale, analogamente, pur essendosi riconosciuto l’impiego del regime composto nella determinazione della rata, ciò è stato ritenuto irrilevante agli effetti in discussione, essendosi comunque esclusa la violazione dell’art. 1283 c.c. nel ricorso a tale metodologia di computo degli interessi. Richiamate le argomentazioni sin qui svolte, desta invero stupore, come correttamente posto in luce da avveduta dottrina, che, in tale iter argomentativo, siano state ritenute del tutto irrilevanti le seguenti fondamentali circostanze (innegabili nella loro oggettività ed imprescindibili in un’analisi scientificamente orientata ed in qualsivoglia rigoroso studio del fenomeno sotto il profilo giuridico, così come sotto quello matematico):

1) che, applicando il regime semplice in base al T.A.N. indicato in contratto, l’ammontare della rata costante risulterebbe inferiore e l’estinzione dell’obbligo di rimborso più rapida rispetto a quanto si verifica ricorrendo al regime composto;

2) che non sia generalmente pattuita, alla luce della comune casistica, alcuna espressa clausola contrattuale (e che non sia di conseguenza raccolto alcun consenso del mutuatario) in ordine all’adozione di tale ultimo regime finanziario (peraltro diverso da quello previsto in forza del combinato disposto di cui agli artt. 821 comma 3 e 1284 comma 1 c.c.) ai fini della quantificazione della rata, così come con riferimento al criterio di calcolo degli interessi, interessi che – diversamente da quanto previsto dall’art. 1194 c.c. (disposizione la cui applicazione, come dianzi chiarito, presuppone la simultanea liquidità ed esigibilità dell’obbligazione per sorte capitale e di quella per interessi, che invece non ricorre nei rapporti in esame) – vengono solitamente computati sul capitale non ancora scaduto (non già su quello in scadenza oggetto della singola rata);

3) che gli interessi distribuiti in ciascuna rata rivelano un nesso di dipendenza proporzionale e diretta rispetto a quelli compresi nelle rate pregresse, già contabilizzati (per quanto, in ipotesi, puntualmente pagati alle rispettive scadenze);

4) che il vincolo della rata costante, combinato con il regime composto e con l’anticipazione dell’esigibilità dell’obbligazione accessoria (relativa alle varie quote interessi delle rate) rispetto alla scadenza dell’obbligazione principale (per sorte capitale), comporta una sorta di roll over dei rimborsi (in contrasto con il consolidato principio dell’unitarietà dell’obbligazione restitutoria, per quanto frazionata in fase esecutiva), operazione attraverso la quale viene realizzata una sostanziale elusione del disposto imperativo di cui all’art. 1283 c.c.;

5) che, nello sviluppo dei piani di rimborso stilati in regime composto comunemente in uso, il tasso di interesse non è affatto “applicato alla sola quota capitale” (ciò che, in base alla stessa pronuncia, varrebbe di per sè ad escludere l’anatocismo), bensì all’intero debito capitale residuo (riveniente dal pagamento di ciascuna rata), maggiorato di parte delle quote interessi di pertinenza delle rate precedenti (vale a dire, per l’appunto, della componente anatocistica degli stessi);

6) che, peraltro, l’omessa menzione del regime finanziario utilizzato, lungi dal configurarsi giuridicamente irrilevante, ha indubbia incidenza sul calcolo della rata, di modo che tale lacuna dell’assetto negoziale non può che implicare nullità della clausola inerente al tasso per indeterminatezza dell’oggetto del contratto, oltre che violazione del relativo regime formale previsto ex lege (ex artt. 1418 comma 2, 1419 comma 2, 1346, 1284 comma 3 c.c. e artt. 117, commi 1 e 4 T.U.B.), atteso che dal ricorso all’uno o all’altro regime derivano monti interessi diversi e, pertanto (a parità di capitale mutuato e di capitale rimborsato e fermi restando il medesimo T.A.N. e l’identità del numero e della periodicità delle rate), un diverso ammontare della rata costante

In definitiva, avendo ormai gli studi matematici che hanno affrontato la tematica disvelato l’effettivo meccanismo di funzionamento dei finanziamenti con piano di ammortamento “alla francese” in regime composto, comunemente adottato nel mercato del credito, può dirsi che – nell’evoluzione dello studio giurimetrico del ridetto piano e parafrasando un celebre saggio di un Maestro del diritto (F. Galgano, “Le mobili frontiere del danno ingiusto”, in Contratto e Impresa, 1985, pagg. 1 e ss..)  – il nuovo indirizzo giurisprudenziale venutosi di recente a delineare (al quale si iscrivono a pieno titolo sia la succitata pronuncia del Tribunale di Milano che quella del Tribunale di Torino in commento) segna, in rapporto alle “mobili frontiere” dell’anatocismo bancario, il passaggio dalla stagione dell’interesse composto “camuffato” da interesse semplice alla stagione del (finalmente riconosciuto) regime composto (asseritamente) privo di effetti anatocistici; scenario, quello appena ipotizzato, che, in realtà, per le ragioni sin qui illustrate non trova invece concreto riscontro nella conformazione e nell’analisi dei piani di ammortamento cui è dato ai nostri giorni accedere nell’ambito negoziale di riferimento.

Nella parte conclusiva della sentenza del Tribunale di Torino n. 605 del 30 maggio 2019, infine, si è sostenuto che il contrario “orientamento” – ovvero quello che presta attenzione ai profili di indagine ed ai criteri analitici dianzi enunciati, sottoposto a critica nella medesima pronuncia – “muove(rebbe) … da una non condivisa ricostruzione della fattispecie e della ratio legis del divieto”.
Pare invero a chi scrive che sia piuttosto siffatto rilievo critico contenuto nella sentenza in commento che non possa essere condiviso, sia sotto il profilo giuridico che in virtù di fondamentali (ed inconfutabili) principi della scienza matematica finanziaria.

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